Diritto di Critica e Diffamazione su Internet: la Guida di Youxta

  11 Aprile 2023

Fino a che punto si può criticare il datore di lavoro sui social?

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Trasferire la propria vita sui social network è una pratica entrata nell’uso comune non solo da parte dei più giovani. Sono sempre di più gli utenti che utilizzano i social come spazio in cui raccontare le proprie giornate e i propri sentimenti, spesso dimenticando che la piazza virtuale in cui stanno condividendo una critica al datore di lavoro può essere molto rischiosa.

Una delle domande alla quale vogliamo dare risposta è la seguente: se il datore di lavoro viene criticato sui social, il lavoratore rischia il licenziamento?

Andiamo ad approfondire l’argomento utilizzando come punti di riferimento tre sentenze che hanno trattato in modo diverso la questione del diritto di critica, soprattutto per la natura dei social network ai quali si faceva espresso riferimento.

C’è differenza se un lavoratore pubblica un post sulla sua bacheca personale di Facebook in cui esprime opinioni critiche nei confronti del datore di lavoro, rispetto ad una chat circoscritta a determinati utenti?

Attivare le impostazioni delle privacy sui social in modo restrittivo, consente agli utenti di esprimere in ogni forma opinioni lesive dell’immagine dell’azienda per cui lavora e per il datore di lavoro?

Mettiamo ordine a tutti questi interessanti e attuali quesiti entrando nel dettaglio della materia e capiamo insieme cosa prevede il diritto di critica in riferimento al datore di lavoro.

Il confine tra diritto di critica su Internet e diffamazione, si rischia il licenziamento?

La giurisprudenza ha chiarito una cosa importante: la modalità e la forma con cui il lavoratore esprime la sua opinione sul datore di lavoro e sull’azienda, possono determinare delle conseguenze, tra le quali anche il licenziamento, qualora venga dimostrato l’intento di denigrare l’immagine e la dignità del datore del lavoro.

A legittimare il diritto di critica del lavoratore sono nello specifico:

  • l’articolo 21 Cost.
  • l’articolo 1,L. n. 300 del 1970

In base a questi articoli, il lavoratore ha diritto di esprimere e manifestare il suo pensiero, compreso il diritto alla critica nei confronti dei suoi superiori diretti, dei colleghi e del datore di lavoro. Il limite entro il quale questo diritto può essere esercitato riguarda la tutela dell’immagine delle figure coinvolte. Quindi il lavoratore ha diritto di esprimere la propria opinione solo se questa non vada a denigrare l’immagine dell’azienda, del datore di lavoro e dei colleghi. Il lavoratore, dunque, non ha diritto di esternare pensieri che possano diffamare altre persone.

Così come il diritto di critica del lavoratore è tutelato dalla legge, allo stesso modo la dignità del datore di lavoro è tutelata dagli articoli 2 e 41 della Costituzione.


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Diritto di critica su internet, quando il lavoratore rischia il licenziamento?

Dalle sentenze prese in esame si nota che il legislatore per analizzare la situazione fa riferimento al “decalogo del buon giornalista”. Per stabilire se quanto detto dal lavoratore rientra nel suo diritto di critica come legittima espressione del pensiero, devono essere dimostrati due aspetti:

  • la continenza sostanziale, cioè la dimostrazione che quello che ha affermato il lavoratore è la verità.
  • la continenza formale, cioè che il modo in cui viene espresso il pensiero sia educato e quindi l’esternalizzazione del pensiero deve essere civile e moderata.

La Suprema Corte con una sentenza del 1986 (n.1173) ha esteso il “decalogo del buon giornalista” a quello che potremmo definire il “decalogo del buon lavoratore” mettendolo in rapporto al diritto di critica.

Questo principio è stato confermato nel 2019 dalla Suprema Corte che ha ribadito che il diritto di critica può ritenersi legittimo ove esercitato nel rispetto dei canoni di pertinenza e continenza, formale e sostanziale.

Critica il datore di lavoro su Facebook, cosa comporta?

Prendiamo il caso di una sentenza in cui l’azienda ha intimato un licenziamento per giusta causa a seguito del comportamento di un lavoratore, che avrebbe condiviso sul suo profilo Facebook dei contenuti ritenuti altamente offensivi nei confronti dei diretti superiori e dei vertici dell’azienda. Già da qui possiamo porci delle domande e fornire delle risposte utili nel complesso.

Pubblicare un post di critica al datore di lavoro, azienda o colleghi sul profilo personale di Facebook può essere valido motivo di licenziamento?

La potenziale viralità di un contenuto pubblicato sui social aggrava molto la posizione di chi vuole esprimere pubblicamente un pensiero critico sul proprio datore di lavoro, sui colleghi, sui superiori e anche sul suo ambito lavorativo.

Nell’economia di un social network che si basa sulla condivisione di contenuti, l’intento di rendere noto un pensiero in pubblico, mette il lavoratore nella posizione di chi vuole diffondere quanto più possibile il suo pensiero.

Se questo pensiero, poi, risulta lesivo della dignità o dei valori aziendali che lui stesso ha accettato nel momento in cui ha deciso di lavorare per tale azienda, il rischio è ancora più ampio.

Appellarsi al diritto di critica può valere nel misura in cui il pensiero pubblicato avviene all’interno di un profilo chiuso, in base alle impostazioni sulla privacy che limitano l’accesso all’informazione ad un numero limitato di persone, e sempre nel rispetto dei principi di continenza formale e sostanziale.

Se il contenuto critico viene pubblicato fuori dall’orario di lavoro ci sono meno rischi di licenziamento?

Uno degli aspetti sui quali il legislatore si sta interrogando e nel tempo sta trattando, riguarda la rilevanza della condotta extra lavorativa del lavoratore. Infatti, il rapporto di lavoro si basa su un legame di fiducia tra le parti e la condotta fuori dall’orario di lavoro può andare a minare il rapporto di fiducia. In particolare, quando si parla del mondo virtuale assumono particolarmente rilievo i comportamenti pubblici.

Quindi, semplificando, non è un problema quando viene espresso il proprio pensiero, quello che conta è il modo in cui viene espresso e la capillarità che può avere, anche potenzialmente, a livello globale.

Diffamazione e diritto di critica su internet: un post pubblico e un messaggio privato hanno la stessa valenza?

No, la risposta qui è immediata. Il peso di un contenuto pubblico, quindi accessibile a tutti e potenzialmente virale, così come di un messaggio che può essere destinato e inviato ad un numero indeterminato di persone, è diverso rispetto ad un contenuto da ritenersi privato perché circoscritto ad un ristretto numero di contatti o utenti. Un contenuto che può essere diffuso pubblicamente può essere ritenuto diffamazione e non diritto di critica, mentre se è possibile dimostrare che il contenuto è circoscritto a un numero limitato di persone è più plausibile che venga considerato come espressione del diritto di critica. Qui torna il caso citato poco sopra riguardo al profilo personale sui social chiuso, con le impostazioni di privacy personalizzate e accesso limitato solo ad una ristretta cerchia di utenti.

Allo stesso modo il peso di un commento lasciato su Facebook va considerato nella sua potenziale viralità e diffusione. Sarebbe utile domandarsi sempre, prima di pubblicare un qualsiasi contenuto che sia post, messaggio o commento: “Quante persone leggeranno questo contenuto, quali conseguenze può avere questo contenuto sui soggetti citati e su chi scrive?

Critiche al datore di lavoro su Whatsapp, quali sono i rischi?

Quando si parla di diffamazione su internet si pensa ai social più utilizzati come Facebook oppure alle piattaforme di recensioni online. Invece anche un applicativo come WhatsApp rientra nelle casistiche da considerare in materia di diritto di critica e diffamazione.

Le caratteristiche di WhatsApp ci interessano ai fini del nostro approfondimento sul diritto di critica al datore di lavoro su internet, perché ci permettono di avere un quadro chiaro della situazione, anche alla luce di quanto già detto nei precedenti paragrafi.

  • Con WhatsApp le persone possono scambiarsi messaggi, sia individuali che di gruppo.
  • Si possono creare dei gruppi circoscritti di persone con cui condividere testi, immagini, video e audio.
  • I gruppi creati nel sistema hanno degli amministratori che possono inserire fino a complessivi 256 utenti, estrapolati tra i propri contatti. Ogni gruppo può avere più amministratori, volendo anche tutti i partecipanti possono essere amministratori.
  • Permette un tipo di comunicazione istantanea.

Già da queste caratteristiche del sistema è possibile notare la portata virale di un semplice inoltro di un contenuto al di fuori del gruppo in cui il messaggio è stato inviato.

Attenzione, perché dal punto di vista dell’azienda l’utilizzo di WhatsApp durante l’orario di lavoro può essere considerato inadempimento contrattuale, se non viene utilizzato per fini lavorativi. Questo perché in determinate circostanze l’uso di questo sistema è una distrazione da mansioni lavorative.

Il contenuto del messaggio diffuso tramite WhatsApp può avere delle conseguenze a livello disciplinare se contiene elementi diffamatori, discriminatori, intimidatori o razzisti.

Il limite tra diritto di critica del lavoratore su internet e diffamazione, come evitare il problema.

Abbiamo illustrato gli aspetti più importanti che intervengono quando un lavoratore pubblica un contenuto in cui critica il datore di lavoro pubblicamente. Il legislatore valuterà tutti gli aspetti che riguardano sia la continenza sostanziale che formale, ma anche tutti gli aspetti collaterali che riguardano il patto di fiducia tra lavoratore e azienda e l’effettivo esercizio del diritto di critica.

Quello che ci si domanda però è se davvero è necessario arrivare fino a questo punto, oppure se è più auspicabile attuare tutte le azioni possibili da parte del datore di lavoro e del lavoratore per non cadere in queste problematiche.

Di fatto il legislatore deve sempre tenere conto degli interessi di entrambe le parti:

  • il diritto del datore di lavoro a non essere oggetto di affermazioni diffamatorie, lesive della sua persona,
  • il diritto del lavoratore a poter esprimere liberamente il suo pensiero.

A tal fine i lavoratori possono affidarsi ad una maggiore conoscenza dei mezzi che utilizzano per diffondere il loro pensiero, dall’altra le aziende possono mettere in atto una strategia di “social media policy”.

Social media policy, uno strumento per l’azienda e per il lavoratore: i rischi da evitare

A seguito di un utilizzo massivo dei social network da parte dei lavoratori, le aziende possono adottare delle politiche aziendali chiare in materia di social network e la relazione tra l’uso che il lavoratore ne fa e l’azienda per cui lavora.

La giurisprudenza in questa materia suggerisce un utilizzo dei social network prudente da parte dei lavoratori e – allo stesso modo – un approccio prudente da parte delle aziende nella valutazione dei comportamenti dei lavoratori su internet.

Coinvolgendo anche la rappresentanza sindacale, qualora presente, l’azienda può chiarire la sua posizione in merito, attraverso la “social media policy”.

Si tratta nel concreto della stesura di un codice etico o di condotta, integrato a quello già esistente che abbia un valore preventivo. In questo codice si possono informare i lavoratori delle possibili conseguenze disciplinari legate ad un utilizzo non corretto dei social network.

 
 

Abbiamo trattato un argomento molto complesso e sempre più attuale, per qualsiasi dubbio o richiesta specifica ti suggeriamo di rivolgerti ad uno degli Avvocati del Lavoro di Youxta.

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